Apre al pubblico sabato 1° febbraio la mostra Il grande parlamento degli istinti, curata da Spazio Relativo e Studio Yoshida, anticipata da diverse performance
Rintracciare la dimensione rituale ci sembra una risposta urgente alle vicissitudini di quest’epoca.”
SASSO MARCONI, ITALY, January 29, 2025 /EINPresswire.com/ -- Apre al pubblico sabato 1° febbraio la mostra Il grande parlamento degli istinti, curata da Spazio Relativo e Studio Yoshida, anticipata da diverse performance. La collettiva si inserisce nel programma di ART CITY Bologna 2025 nell’ambito di Artefiera e sarà aperta fino all’8 marzo, trasformando gli ambienti della seicentesca Villa Davia, dell’oratorio di Sant’Antonio da Padova e del Salone delle Decorazioni in un palcoscenico di riflessione sul rapporto tra arte, ritualità e istinto.— Iside Calcagnile
Radicandosi nelle teorie dell’etologo Konrad Lorenz, che studiò le dinamiche dell’aggressività e le ritualizzazioni come meccanismi di regolazione sociale nelle specie animali, la mostra interroga la necessità umana di costruire gesti codificati e simbolici, in grado di equilibrare pulsioni profonde e contraddittorie. Che cos'è l'aggressività – si interroga Lorenz nel suo celebre saggio omonimo del 1962 – un istinto o un comportamento appreso? C'è una differenza tra l'aggressività nell'uomo e negli altri animali? Il grande parlamento degli istinti si configura così come un esperimento transdisciplinare, un osservatorio che riflette sulla capacità dell’arte contemporanea di porsi come dispositivo rituale.
Gli artisti e le opere: una cartografia del rituale
La mostra Il grande parlamento degli istinti mappa una nuova cartografia della ritualità, come fosse un dispositivo di regolazione sociale, necessità intrinseca alla condizione umana.
Fabio De Meo, con Formiche, realizza, in una tela dalla superficie pittorica monumentale di 48 metri quadrati, l’organizzazione delle formiche, evidenziandone le strategie sociali e militari come metafora perturbante delle dinamiche umane di dominio e sopravvivenza. La tensione tra costruzione e dissoluzione emerge con forza nelle opere di Cristiano Zanini, che modella la cartapesta in forme evocative di strumenti, tra armi e utensili rituali, suggerendo un dialogo ancestrale tra il corpo e l’oggetto.
La dimensione biologica e alchemica del rituale emerge con particolare intensità nel lavoro di Miriam Del Seppia, Processes of Unstable Chemistry, dove il tempo e la trasformazione vengono investigati attraverso tinture naturali e processi chimici instabili, restituendo un nuovo modo di fare mondo, a partire da un ambiente.
Sebastiano Pallavisini, con Gulasch, fonde in un’unica immagine ibrida diverse specie animali, suggerendo il caos biologico e la violenza dell’istinto primordiale, mentre Mattia Pajè, con Mutual Understanding, incide su lastre di ottone dorato scene e figure simboliche che ricordano le Pioneer Plaques, effigi su placche inviate nello spazio dalla NASA nel 1972 e 73, che avevano la funzione di illustrare al mondo extraterrestre il nostro passaggio sulla Terra.
La riflessione sul valore comunitario della narrazione si manifesta nelle tele della serie L’anonimo lunario cantato di Simone Carraro, che recupera la figura del cantastorie, indagando il ruolo aggregante della parola orale.
Federico Marinelli - infine - indaga sul rapporto tra ricordo e verità attraverso una pittura che fa della ritualità pittorica una chiave per l’apertura di una dimensione dell’immaginario, a completamento di una stratificata indagine.
Performance site-specific e ricerca: il corpo, la voce, lo spazio
Elemento cardine della mostra è la dimensione performativa, che trasforma villa Davia e gli spazi limitrofi in un teatro espanso dell’azione rituale. Durante il vernissage, il pubblico sarà coinvolto in una serie di attivazioni che riflettono sulla corporeità e sulla memoria sonora del rito.
L’indagine sulla memoria sonora e sulla voce come elemento rituale trova una delle sue espressioni più suggestive in Rappresentazione di Luca Veggetti, Paolo Aralla e Alice Raffaelli, una performance che si nutre della registrazione della voce di Francesco Leonetti, storico collaboratore di Pasolini, restituendo un monologo carico di stratificazioni semantiche ed emotive, mentre Nicola Di Croce e Marta Magini, con la performance-concerto Richiamo (se fosse nel silenzio che i merli si parlano), sviluppano e ci mostrano una pratica di conversazione nel meraviglioso oratorio barocco del Borgo: due corpi sono impegnati nell’atto di produrre suoni, ascoltarli, registrarli per ascoltarli ancora. GLARE di Jacopo Cenni parla dell'incessante ricerca della Verità, l'oscillazione tra il dominio dell'Umano e la perdita di controllo sulla luce determina lo sviluppo della performance.
La programmazione prevede inoltre incontri di approfondimento e laboratori: la conferenza Il rituale nell’opera di Pier Paolo Pasolini, con Roberto Chiesi e Stefano Casi, offrirà una riflessione sulla ritualità nel linguaggio cinematografico e teatrale; la visita interattiva Esplorazioni, sensi e voci nel grande parlamento degli istinti è il frutto di una collaborazioni fra i filosofi: Passeggiate Filosofiche (Gianmaria Beccari), Prisca Amoroso, Gianluca De Fazio e due voci: Teatrino Giullare e Frelen. Laboratori esperienziali condotti da Moe Yoshida e Iside Calcagnile indagheranno la relazione tra segno e voce: disegnare voci animali. Il workshop diBoccainBocca, di Nina Baietta, stimolerà pratiche di improvvisazione e modulazione sonora che mettono in discussione i confini tra linguaggio, suono e canto.
Attraverso questo articolato dispositivo di attivazione performativa e sonora, Il grande parlamento degli istinti non si limita a esplorare la ritualità come tema, ma la mette in atto, trasformando la mostra in un organismo vivo, in cui il confine tra opera e spettatore diventa poroso, permeabile, attraversabile. Un’esperienza che non si esaurisce nell’atto espositivo, ma che ambisce a lasciare un segno, un’eco, un richiamo destinato a riverberare oltre i limiti dello spazio e del tempo dell’evento
La mostra si distingue per la capacità di restituire alla pratica artistica una dimensione esperienziale e immersiva, invitando lo spettatore non solo a osservare, ma a partecipare attivamente a un processo di trasformazione percettiva. Attraverso la pluralità di media e la tensione tra memoria, istinto e linguaggio, il progetto curato da Moe Yoshida e Iside Calcagnile offre una riflessione sulla ritualità che non è nostalgia di un passato arcaico, ma un tentativo di riattivare, nel presente, un bisogno profondamente umano: quello di condividere segni, gesti e narrazioni che trascendano il quotidiano e aprano spazi di esperienza collettiva. Un parlamento degli istinti, dunque, in cui l’arte diventa strumento di negoziazione, conflitto e dialogo tra ordine e caos, tra struttura e pulsione, tra forma e divenire.
Iside Calcagnile
Studio Relativo
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